Quel che c’è di certo, è che triatleta non nasci; lo diventi. Subisci piano piano una trasformazione e quando te ne rendi conto, il gioco è fatto.
Questo processo di metamorfosi non è solo quello che ti fa crescere un pochino le spalle e gradualmente modifica l’aspetto delle tue gambe e dei tuoi addominali; si tratta di qualcosa di molto più profondo. È il costruirti, pian piano, una nuova scala di valori e priorità. È una nuova sfida da vincere con te stesso e sono nuove emozioni da regalarti. È un graduale cambiamento nel modo di organizzare le tue giornate, di porti degli obiettivi, di guardare il mondo e soprattutto di guardare gli altri.
Già, perché i triathleti si osservano tra loro, si scrutano, si fiutano, si studiano; si analizzano come fanno gli animali diffidenti e si sforzano di intuire le caratteristiche di ogni altro esemplare, simile a loro, che incontrano.
Il triatleta, almeno quello amatore, è certamente una bestia da competizione, ma è soprattutto un grandissimo esteta; uno di quelli che per un dettaglio giusto, al posto giusto, potrebbe anche raggiungere l’orgasmo. Il triatleta è un feticista del mozzo in ceramica, un fanatico del cerchio ad alto profilo, un idolatra dell’ultimo telaio aero top di gamma.
La prestazione poi, in qualche modo, diventa un corollario. Una di quelle cose sulle quali poter anche soprassedere. Il riscontro cronometrico serve poi solo, in fondo, per giustificare a casa i 400 euro spesi per un GPS da polso, che rischierà di non levarsi neppure con l’abito da cerimonia.
Poco importa se lo si vede spesso scivolare nell’eccesso o indulgere in sbavature grossolane, noncurante delle raccomandazioni classiche su proporzione e armonia. Al triatleta delle “misure” di valutazione dei comuni mortali importa poco, la moderazione e il senso della misura lo annoiano. Lui è tutta un’altra razza. Lui è stra-ordinario.
Ed è così che all’ingresso in zona cambio, prima di una gara, se sei un triathleta il tuo avversario manco lo guardi in viso; è la sua bicicletta che può parlarti veramente di lui. Dalla sua bici sarai in grado di capire tante cose e dalla condizione della tua, dipenderà in buona parte il tuo grado di spavalderia e sfrontatezza.
La bici di un vero triatleta il giorno della gara è più pulita della vetrina di una cristalleria. Per lucidarla avrà utilizzato prodotti dedicati, distribuendoli sul telaio con quella maglietta da running in cotone, trovata nel pacco gara dell’ultima corsa podistica.
Il nastro del manubrio, spesso ostinatamente bianco e comunque perfettamente in armonia cromatica con il telaio, non dovrà rivelare quell’alone di sporco derivante da un utilizzo di lungo corso. Il triatleta il suo nastro se lo cambia da solo e di frequente.
Quello cattivo lo vedi subito; si tratta di una caratterista direttamente proporzionale al grado di cattiveria del modello di bicicletta scelto e dei suoi colori. Il total black deve far pensare (e rabbrividire), soprattutto se si tratta di una di quelle bici con i piantoni verticalissimi e fortemente sbilanciata con il peso verso il manubrio.
Il principiante, per quanto ci provi, non sfuggirà mai agli sguardi di affetto e compassione dei più navigati. Quel modello così datato di bici, la borraccia consumata e di un colore tanto stridente dal resto, il nastro sdrucito e gli inguardabili graffi sul telaio, lo marchieranno a fuoco; figuriamoci poi se sul polpaccio non depilato ti fai pure beccare la strisciata di grasso della catena: quello è il bollino rosso del “bamboccio”. In bici non ci sai andare, punto.
Il triatleta la sua bici la porta in zona cambio spingendola dal sellino, proprio come fanno i top. Lo vogliamo far capire a tutti o no, che se non siamo professionisti, corriamo a 6’/km, ci mettiamo 20’ ad uscire dall’acqua in uno sprint e perdiamo la scia di tutti i gruppi in bicicletta, è solo perché lavoriamo 12 ore al giorno, abbiamo dei figli e non più vent’anni? È solo una questione di disponibilità di tempo se non rendiamo in gara, perché il triatleta nasce geneticamente “talento”.
Per il triatleta il segno dell’abbronzatura a metà quadricipite, gli occhi cerchiati dagli occhialini, i numeri scritti a pennarello sulla pelle e l’odore di umido nella macchina, sono tutti elementi d’orgoglio. Sono degli elementi distintivi di appartenenza fiera alla categoria.
Al di la di un po’ di ironia, comunque, resta innegabile che quella dei triathleti sia una tribù a sé stante, composta di individui attenti, curiosi, entusiasti e anche molto capaci di godersi il gruppo e le cose piacevoli della vita. Sono atleti versatili, che hanno capito la profonda differenza che intercorre tra gareggiare in un luogo qualunque o farlo in località che meritano per bellezza; sono quel genere di sportivi che sceglie una gara e insieme sceglie un buon ristorante da prenotare lì vicino per la sera e magari un B&B carino per fermarsi a rilassarsi nel week end con gli amici o la famiglia.
Il triathlon resta, per come la vedo io, un’esperienza da provare, da vivere e dalla quale lasciarsi docilmente cambiare. Perché cambiare significa spesso crescere e scoprire di saper essere molto di più di quanto si pensi.
Provare per credere!