Dalla maratona al trail: un’evoluzione culturale

Man jumping off rock.

Il boom delle maratone è memoria recente per chi bazzica il mondo della corsa da qualche anno.

I maratoneti italiani, ossia coloro i quali nel 2013 hanno partecipato ad almeno una maratona in Italia, dai dati FIDAL del dicembre 2013 (i più recenti che abbiamo) sarebbero circa 54.700, su un totale di 180.734 tesserati. Alla faccia del famigerato ‘popolo di sedentari’! Il mito della maratona e la sua diffusione, ha contribuito massivamente ad avvicinare al running moltissime persone, che hanno iniziato a correre e si sono ficcate in testa immediatamente il traguardo dei 42 km. Gps al polso, tabelle di allenamento precise, calcoli ossessivi sull’immaginario race pace da raggiungere e mantenere e quei 42 km e pochi a martellarci testa e gambe, uno alla volta, a mo’ di litania, come le preghiere nella corona di un rosario.
Forse ci è mancato l’equilibrio, forse come per tutte le cose nuove che appassionano, ci siamo un po’ abbuffati e alla fine quei 42 lap sul cronometro ci sono venuti un po’ a sdegno. Le periferie delle maratone italiane ci hanno gradualmente saturato e hanno smesso di appagarci e di essere una gratificazione sufficiente a giustificare uno sforzo comunque sempre notevole.
Così, un po’ per osmosi fisiologica, la saturazione dell’ambiante maratona è stata in parte’ compensata dal passaggio di molti atleti al Trail Running. La voglia di godersi a pieno tutto quello che la corsa in natura può offrire, guardarsi attorno e dimenticare il grigiore periferico delle città, in favore di boschi, campagne e montagne più o meno ripide, ha avuto la meglio e i calendari si sono infittiti di appuntamenti trail.

Se letto come fenomeno sportivo-sociale, bisogna forse guardare al trail in due modi. L’uno conseguente all’altro.
Il primo come il bisogno del popolo dei runner-ossessivi di ritornare a un primigeno rapporto con la corsa, che sia principalmente piacere. Il secondo, che stiamo probabilmente assistendo a un’evoluzione del popolo dei podisti, che stanno abbandonando la fase maniaco ossessiva e ne stanno in qualche modo guarendo, in favore di un rapporto più consapevole con se stessi e con le proprie passioni.
I runners iniziano ad avere ben chiaro cosa vogliono dalla corsa e stanno scegliendo una disciplina che, se certamente li libera dall’assillo del cronometro, li obbliga però di contro ad una crescita culturale nei confronti dello sport che hanno scelto di praticare. Percorsi accidentati, terreni nuovi, dislivelli più o meno importanti, distanze più o meno lunghe, il trail richiede comunque una cultura più attenta sia nell’equipaggiamento, che nella preparazione atletica e mentale. Tutto questo processo di acquisizione di consapevolezza, non serve tanto per prepararsi atleticamente in chiave prestativa, quanto piuttosto per evitare problematiche e rischi e per godere al meglio della gioia di correre. Così le scarpe diventano più tecniche per avere maggior grip e garantire comfort, l’abbigliamento è più curato per essere adatto ai cambiamenti climatici tipici della montagna, ci si abitua correre con uno zainetto e in qualche modo ad essere in grado di provvedere a se stessi e ai propri bisogni.
In tre parole si impara ad essere lungimiranti, competenti e consapevoli. Un grande salto di qualità e una crescita culturale del nostro movimento podistico. Quindi ben venga il Trail Running e tutti gli appassionati che sta coinvolgendo e portando a sé.

5 thoughts on “Dalla maratona al trail: un’evoluzione culturale

  1. Articolo ben scritto e condivisibile nei contenuti.
    In quest’epoca dove culturalmente la sciatteria e l’improvvisazione prevalgono, dove l’apparire è più importante dell’essere, ci lusinga far parte del popolo dei lungimiranti, competenti e consapevoli. Il passo dall’asfalto al muschio è irreversibile e noi ne siamo orgogliosi.
    Grazie

  2. Aggiungiamo per i più competitivi, la soddisfazione del podio che nelle corse su strada è ormai precluso dall’onda nera.

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