Alex Zanardi: io non gli credevo

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Io non ci credevo. Ero tra gli scettici. O meglio, forse facevo parte di una categoria ancora diversa.

Ho pensato ci fosse della superbia quasi fastidiosa in Alex Zanardi e in quella sfrontatezza che lo aveva portato a dichiarare ‘Esordirò nell’Ironman a Kona’.
Ho amici carissimi che vivono da protagonisti il paratriathlon con tutte le difficoltà che ne derivano.
Conosco i loro sforzi, la fatica smisurata che nascondono dietro ai sorrisi.
Conosco il dolore, anche fisico, che sta dietro alla loro preparazione atletica.
Ecco, si, mi sembrava che la leggerezza di Zanardi nell’affrontare una gara di questa portata, in qualche modo fosse uno schiaffo alla loro sensibilità.
Alla sensibilità dei ‘miei’ ragazzi.
Ho pensato a una strategia di marketing, ai vantaggi che sarebbero derivati dal rendere ‘l’immane improvvisamente fattibile’, come aveva dichiarato lui.
Dentro di me c’era la convinzione che si stesse facendo passare un messaggio fuorviante, che in qualche modo stava banalizzando agli occhi della pubblica opinione, gli sforzi veri di chi ogni giorno si batte per andare oltre un handicap fisico.

Questa cosa mi irritava. Non poco.

In qualche modo ero convinta che mi sarei ritrovata, dopo il traguardo di Kona, a dire ‘io lo sapevo che non ce l’avrebbe fatta’. Era ovvio nella mia testa che sarebbe andata così. Mi dicevo: ‘E’ assurdo pensare di partire da un’invernale al K2, per iniziare a praticare il nordic walking. L’Ironman, come la montagna, pretende rispetto, diamine!’

E invece sono qui, andata e tornata da Kona, fuso non ancora smaltito, a pensare di aver sbagliato tutto.
Completamente tutto.
Sono qui con in testa uno sguardo. Quello di un uomo minuscolo in mezzo a tanti giganti.
Due occhi penetranti come spilli e un sorriso stampato in faccia alla partenza; inciso sul viso tanto quanto la smorfia di dolore inevitabile sul traguardo.

Non solo Alex quel traguardo lo ha tagliato e in modo egregio, ma lo ha fatto con una leggerezza d’animo che mi ha investito come un tir.
Quello ‘schiaffo in faccia’ che mi sembrava Alex desse alla disabilità nel pre partenza, mi è ritornato addosso come un boomerang, senza sconti. La forza devastante di uno tsunami, che mi ha lasciata stordita, a tratti confusa, ma certamente profondamente emozionata.

Ci ho pensato a lungo in aereo durante il viaggio di ritorno dalle Hawaii e oggi guardo a lui come a un uomo che sa fare dell’energia positiva il proprio vessillo.
Non importa se i suoi strumenti non sono gli stessi di altri; non importa se i vantaggi meccanici di cui può godere lo rendono, in qualche modo, un privilegiato pur nell’evidenza della difficoltà. Non importa se c’è attorno a lui una giostra di marketing, che viaggia anche e soprattutto, su logiche di profitto.

Nulla di tutto questo è realmente importante, se poi a sfondare la resistenza delle cortine emotive è la sua energia. Nulla di tutto questo è realmente importante se riesce a buttare giù muri e pregiudizi a testate.
La forza dell’esempio e il potere dell’identificazione sono gli strumenti più efficaci per trascinare e dare sostanza ai sogni.
Ai sogni di chiunque. Non solo quelli di Alex Zanardi.
E quindi avanti tutta.
Ben venga il circo mediatico. Ben venga la giostra.
La strada è lunga, ma Alex non ha paura. E a guardarlo, ci sembra, forse, di averne meno anche noi.

Un commeto su “Alex Zanardi: io non gli credevo

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